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So long, Dickey: addio a Richard Betts
So long, Dickey: addio a Richard Betts
di [user #116] - pubblicato il

«Io sono il chitarrista famoso, Dickey è quello bravo». Parola di Duane Allman. Una garanzia, dunque.
Forrest Richard “Dickey” Betts è stato - assieme al biondo fondatore degli Allman Brothers - uno dei nomi più stimati e influenti del cosiddetto southern rock e, per estensione, di tutta la scena jam statunitense. Il look da cowboy, i baffi, il cappello, il tocco vellutato e i fraseggi ricolmi di poesia, le melodie scolpite nella pietra che pare non conoscano l’incedere del tempo: quanto ci sarebbe da raccontare riguardo a Dickey Betts, alla sua Gibson SG ’61 degli inizi o alla sua Gibson Les Paul Goldtop! E quanto si dovrebbe riconoscere al chitarrista, originario della Florida, circa il bagaglio di conoscenze, apporti innovativi e idee donati - nel corso degli anni - alla musica d’oltreoceano.

Betts, morto da appena qualche giorno per un tumore e una broncopneumopatia cronica ostruttiva, si era ritirato dalle scene circa tre anni fa. La sua fama resta però ancorata alla magica alchimia sonora che, al fianco di Duane “Skydog” Allman, è riuscito a sviluppare nel triennio compreso tra il 1969 e il 1971, l’epoca, ovvero, del disco omonimo della ABB, del successivo Idlewild South e dello straordinario At Fillmore East, uno degli album live più celebrati della storia. A quel periodo risalgono alcune composizioni del nostro che avrebbero fatto scuola, su un piano sia compositivo sia tecnico, anche negli anni a venire: per esempio la lunga, strumentale, "In Memory Of Elizabeth Reed".

So long, Dickey: addio a Richard Betts

Se infatti era Duane Allman a portare una firma più blues, Betts si distingueva come l’elemento capace di riversare all’interno del gruppo sapori e tinte più marcatamente country e jazz. Mai una nota fuori posto, un controllo misurato di volume e velocità, un lirismo ricercato, l’attenzione rivolta a temi che fossero orecchiabili e, ça va sans dire, cantabili. Questa era la cifra stilistica di Dickey, il cui merito, oltre ad aver dato vita a uno dei combo chitarristici più noti del pianeta, è stato anche quello di saper - da un lato - guidare gli Allman nel buio periodo seguito alle tragiche (e ravvicinate) morti di Duane e del bassista Berry Oakley; dall’altro, quello di essersi riuscito a costruire un’identità chiara e ben definita sia in ambito solista sia assieme ai suoi Great Southern.

Insomma, sarebbe una grave mancanza riferirsi a Dickey Betts soltanto come all’altro chitarrista, la spalla di quello “famoso". E mentre la famiglia - che, tramite comunicato ufficiale, ne ha rimarcato la bravura laddove qualcosa catturasse la sua attenzione, dalla musica alla caccia, dall’andare in barca alla pesca - ha indicato sulla pagina Instagram ufficiale del chitarrista che la perdita del “leggendario performer, songwriter, band leader, e capofamiglia… sarà sentita in tutto il mondo”, noi potremmo cogliere l’occasione per recuperare, oltre ai già citati e immancabili primi tre dischi degli Allman Bros., i restanti capitoli imprescindibili del suo repertorio. Il capolavoro Highway Call del 1974, che vanta la presenza di due comprimari d’eccezione, il violinista Vassar Clements e il pianista Chuck Leavell; i due album dei Great Southern, Dickey Betts & Great Southern (1977) e Atlanta’s Burning Down (1978); infine, Brothers and Sisters, l’album che ha sancito la leadership di Betts e che ha letteralmente salvato la ABB dal tracollo grazie a una ritrovata verve e a singoli immortali quali Ramblin’ Man e Jessica; così come il bellissimo Seven Turns, la cui qualità - con l’apporto in formazione di Warren Haynes (chitarra) e Allen Woody (basso) - ha fatto riemergere dall’oblio, in veste rinnovata e accattivante, Gregg Allman e soci nei primi anni '90.
curiosità dickey betts the allman brothers band
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