VINTAGE VAULT SHG MUSIC SHOW PEOPLE STORE
Intervista con Gavin Harrison
Intervista con Gavin Harrison
di [user #17844] - pubblicato il

Conosciuto universalmente per il suo lavoro con i Porcupine Tree e per la recente unione ai King Crimson, Gavin Harrison ha alle spalle una lunga lista di collaborazioni con artisti di ogni estrazione e stile. Lo abbiamo intervistato per curiosare nel suo studio di registrazione, approfondirne lo stile e scoprire qualche suo trucco per dare il meglio sui brani più difficili.
Conosciuto universalmente per il suo lavoro con i Porcupine Tree e per la recente unione ai King Crimson, Gavin Harrison ha alle spalle una lunga lista di collaborazioni con artisti di ogni estrazione e stile. Lo abbiamo intervistato per curiosare nel suo studio di registrazione, approfondirne lo stile e scoprire qualche suo trucco per dare il meglio sui brani più difficili.

Pietro Paolo Falco: si dice che tu abbia un sistema tutto tuo per memorizzare le strutture dei brani. Che trucchi usi per seguire facilmente un brano difficile?
Gavin Harrison: dipende dalla canzone. Se è un pezzo complicato scrivo una partitura o registro la mia voce che mi dice "ok, qui arriva il ritornello" o "ora finisce l'assolo di chitarra". Non mi piace contare quando suono, credo si possa essere poco musicali se si conta quindi, se c'è una cosa che posso fare per facilitarmi la vita in studio o dal vivo, la faccio. Questo può voler dire registrare la mia voce su una traccia, avere davanti uno spartito… tutto quello che mi possa far sentire a mio agio nel suonare una canzone senza fare errori è la strada giusta.
Non devo provare la canzone centinaia di volte, devo capirla. Alcune canzoni hanno un sacco di indicazioni metronomiche che possono rendere le cose più complicate di quanto non sembrino, quindi potrei aver bisogno di leggere lo spartito della parte più problematica, ma non del resto del brano.


PPF: usi il trucco di ascoltare la tua voce in cuffia anche dal vivo?
GH: certo! Se devo suonare una parte da cinque battute per sette volte, registro solo "ok, questa è l'ultima", altrimenti dovrei cominciare a contare. Non voglio contare, voglio solo assimilare il brano. È una specie di rimpiazzo per un direttore d'orchestra, che ti guida attraverso le diverse sezioni.

PPF: qual è il tuo rapporto, invece, con l'improvvisazione?
GH: credo che l'improvvisazione debba sempre suonare come se io stessi componendo. Esiste improvvisazione buona o cattiva, naturalmente, e per improvvisare davvero devi assumerti dei rischi, altrimenti non è vera improvisaion, ma è regurgitation, se capisci cosa intendo.
Credo che più improvvisi, più ti rendi conto di quando qualcosa di buono sta cominciando a prendere vita, ma anche quando sta succedendo qualcosa di sbagliato, così puoi correggerlo.
Quando improvviso, trovo interessante che accada qualcosa che non mi aspetto. Beh, l'improvvisazione è un discorso ampio, perché in realtà non stai "inventando la batteria", stai costruendo con cose che già conosci. Ora, mentre parlo, non ho idea di cosa dirò dopo, ma uso parole che ho usato molte volte prima e sulla batteria è lo stesso. Ci sono delle frasi e dei movimenti che ho suonato in passato, ma provo a dire qualcosa di nuovo con queste "parole".


PPF: credi sia utile riascoltarsi quando si suona?
GH: è sempre importante registrare le proprie improvvisazioni, perché ti capita di suonare qualcosa di assolutamente unico, che non hai mai suonato prima. Se l'hai registrato puoi analizzarlo, trascriverlo e magari usarlo in un altro modo. Magari stai scrivendo una canzone e trovi che una parte suonata in una precedente improvvisazione suonerebbe bene in quel pezzo.


PPF: parlami della tua impostazione personale alla batteria
GH: mi è stata insegnata l'impugnatura tedesca, con i dorsi delle mani verso l'alto, ma può risultare molto naturale usare l'impugnatura francese, con i pollici in cima e le dita libere. Io uso qualcosa nel mezzo, ma in generale mi baso su cosa suona bene ed è comodo.
Probabilmente se qualcuno con una tecnica fantastica mi vedesse suonare direbbe che sto sbagliando tutto, ed è giusto, ma è un modo comodo per me. È comodo per le cose che suono e per il tipo di sound che cerco di ottenere.


PPF: che ne pensi della Moller Technique? La usi?
GH: in un certo senso sì. Non è una cosa che ho studiato, ma se suoni la batteria da molti anni è una cosa che scopri prima o poi, per così dire.
Con la Moller Technique ottieni più note in un solo movimento, dai un colpo con un "lancio" e un altro con una "presa".
Io lo faccio più spesso con la mano destra, che suona di più rispetto alla sinistra, e a volte devi suonare dei pattern veloci e ripetitivi. Dopo alcuni anni, diventa naturale non accentuare ogni colpo, ma fare dei movimenti più rilassati anche da tre note in un solo colpo.


PPF: qual è, invece, il tuo rapporto con il match grip?
GH: non uso propriamente il match grip, ma una specie. Uso due impostazioni diverse.
Con la sinistra il grip è con il mignolo, giusto sulla fine della bacchetta. È uno stile simile a quello di Tony Williams, di Gary Husband e di tanti altri batteristi. Principalmente questa scelta è voluta per il volume e per il suono sul rullante. La bacchetta non è libera, non vibra, quindi puoi ottenere tutta la potenza e il sound che richiedi dal rullante. Quando suoni così, le ghost note arrivano dal polso, non dalle dita.
Con la mano destra non uso il mignolo. La presa è parallela alla direzione dell'indice esteso e passa tra medio e anulare, mentre l'indice fa da guida per il suono.
La mano destra fa un lavoro diverso dalla sinsitra. Non faccio "kodo drumming" su un grosso tamburo dove le note devono essere esattamente le stesse, non faccio quel tipo di fill lineari fatti di rullate che passano da un tamburo all'altro. Il più delle volte suono dei groove e la mano destra lavora fino a tre o quattro volte più della sinistra, per questo con la destra ho una presa diversa e uso anche un po' di Moller Technique.
È lo stesso motivo per cui si usa il grip tradizionale/jazz: perché non hai bisogno di due mani che facciano la stessa cosa.


Intervista con Gavin Harrison

PPF: ti prepari in modo differente per suonare live o in studio?
GH: sempre nello stesso modo. Cerco di suonare sempre nel modo più musicale possibile, ma cerco di conservare la stessa attitudine in studio come sul palco. Provo ad ascoltare la canzone e fare un buon disegno per quella canzone, con quello che sto suonando.
Suonare a tempo è una responsabilità di tutti, nella band, ma sta al batterista creare un tempo interessante. Quando suono una canzone, in studio o dal vivo, cerco sempre di far sì che il tempo sia bello, solido, anche per suonare qualcosa che possa essere interessante per gli altri membri della band e li ispiri a suonare qualcosa di diverso.


PPF: ti sei mai sentito a disagio in una di queste situazioni musicali?
GH: certo! Mi è capitato dal vivo, mi è capitato in studio... A volte dal vivo il suono può essere davvero brutto e questo mette davvero in difficoltà. A volte la musica non è quella che amo o qualcosa non va nell'interazione tra i musicisti e l'artista o tra i musicisti…

PPF: puoi raccontarmi un episodio?
GH: ricordo di essere andato in uno studio a Milano per lavorare con un artista, e il produttore aveva un'idea ben chiara di cosa desiderava. Mi fece suonare la canzone per tre giorni, dalle dieci di mattina fino alle due di notte, la stessa canzone. Devo aver fatto forse ottanta registrazioni di quella canzone. Alla fine, quello che lui voleva davvero era la drum machine della demo.
Quando arrivai, mi disse "Gavin, ti faccio sentire la drum machine dalla demo, ma la odio e non voglio quella parte, voglio solo che tu la senta in modo da non suonarla così". Quindi la suonai a modo mio, e lui "oh, è fantastico, ma c'è un colpo di cassa sulla demo, che hai mancato". La ascoltammo, suonai quel colpo di cassa, ok. Questo accadeva ai tempi del nastro, prima di Pro Tools.
Lui disse "grande, ma c'è un'altra cosa sulla drum machine che mi piace…". Io cominciavo a capire come sarebbe finita la cosa, e gli proposi semplicemente di campionare la mia batteria e programmare la drum machine con i miei suoni, perché si era talmente affezionato alla demo da non riuscire a sentire la canzone suonata in maniera diversa. Avevo l'impressione che si sarebbe passati da "non suonare come la demo" a "suona esattamente come la demo", e fu quello che accadde.
Capita che i produttori lavorino per mesi o anni su una demo, e la prima volta che sentono qualcosa di nuovo su quella canzone vanno nel panico, come se il pezzo stesse svanendo. Non era la prima volta che avevo incontrato questo tipo di situazione e so che quando lasciai lo studio il produttore chiamò un altro batterista e ruppe anche le sue palle per tre giorni. Non era contento neanche di quello. Alla fine cercò di miscelare la mia batteria con quella del secondo batterista, prendendo il mio hi-hat, la sua cassa, il mio rullante, i suoi tom… e alla fine quello che risultò dopo una settimana di lavoro era anche peggio della prima demo!


Intervista con Gavin Harrison

PPF: guardando la tua batteria, ho notato questi piccoli piatti. So che li hai fatti tu. Ti dedichi spesso al fai-da-te?
GH: l'ho fatto in passato. Se mi veniva in mente un'idea per una cosa che non esisteva, provavo a crearla.
All'inizio degli anni '80 feci un secondo hi-hat chiuso prima che la gente cominciasse a usare quello che viene chiamato "X hat", sulla destra.
Quanto ai piccoli bell cymbal, li ho ricavati da dei crash rotti, riducendo la circonferenza alla parte ancora integra. In realtà non fungono da splash e non hanno neanche una nota ben precisa come un glockenspiel. Non riesco a sentire né voglio sentire una nota specifica, altrimenti comincerebbero i problemi, avrei bisogno di conoscere gli accordi della canzone, e non voglio dover pensare a che accordo stiamo suonando.


PPF: ho notato che sono marchiati Zildjian...
GH: sì, ho dato gli originali a loro e me ne hanno fatto una copia esatta.

PPF: saranno mai in vendita?
GH: no, non credo...

PPF: pensi che al tuo set si aggiungeranno altri oggetti del genere in futuro?
GH: non ne ho idea, vedremo!

PPF: hai fatto un tour dimostrativo per i piatti Gen 16. Li hai mai usati per un tuo lavoro privato?
GH: li ho da poco, non ho ancora avuto modo di usarli in una registrazione. Però sì, ne ho un set in studio, quindi chissà...

PPF: ecco, parliamo del tuo studio. Che microfoni usi per la batteria?
GH: uso molti AKG, ma non solo. Per i tom uso dei C414, che danno delle ottime sfumature grazie alle capsule molto grandi. Simon Phillips me l'ha consigliato. I C414 sono stati usati sui tom per l'ultimo album dei Porcupine Tree.
Uso due C12VR - microfoni per voce - come overhead. Ho il nuovo D12VR sulla cassa, due CK391 sullo hi-hat e sul piatto destro e ho una coppia di C414XLS per l'ambiente.


PPF: dove confluiscono i microfoni?
GH: i microfoni finiscono in un vecchio mixer Makie 32 8 Bus analogico, da lì in degli Apogee Rosetta per la conversione e poi a Logic, in un Mac.

PPF: il tuo studio è in fiamme e tu puoi salvare una sola cosa: cosa porti via?
GH: l'hard disk ovviamente! In realtà dipende se sto lavorando su un album o se l'ho già finito e qualcun altro ha una copia delle tracce.
Comunque, per sicurezza faccio un backup alla fine di ogni giornata. Ho un backup del computer, con le email e tutti i miei documenti nel caso all'improvviso non dovesse più partire, e ho un hard disk di 1TB esclusivamente per i file audio dei progetti musicali ai quali sto lavorando.
Tutto il resto può essere rimpiazzato. Posso andare in negozio e comprare dei nuovi C414, ma non posso comprare un hard disk con tutto il mio lavoro.
Seguici su Twitter
gavin harrison interviste
Mostra commenti     2
Altro da leggere
Phil X e l’accordatura “Bouzouki” che stravolge il tuo sound
Cornerstone con Jack Griffiths: "Il boutique è carattere, non componenti NOS"
Rosaire Riccobono: la versatilità è un investimento sulla passione per la musica
Pete Townshend e la sua prima chitarra “da metallaro”
Hammett: “la gente non ricorderà gli assolo” ma Angel Vivaldi non ci sta
Drigo, gli spippolatori e i pedali senza manopole
Articoli più letti
Seguici anche su:
Scrivono i lettori
Manuale di sopravvivenza digitale
Hotone Omni AC: quel plus per la chitarra acustica
Charvel Pro-Mod DK24 HSH 2PT CM Mahogany Natural
Pedaliere digitali con pedali analogici: perché no?!
Sonicake Matribox: non solo un giochino per chi inizia
Ambrosi-Amps: storia di un super-solid-state mai nato
Il sarcofago maledetto (e valvolare) di Dave Jones
Neural DSP Quad Cortex: troppo per quello che faccio?
Massa, sustain, tono e altri animali fantastici
Ho rifatto la Harley (Benton ST-57DG)




Licenza Creative Commons - Privacy - Accordo.it Srl - P.IVA 04265970964